QUARRYWOMAN

LA PRIMA DONNA A SCALARE IL QUARRYMAN E8, 7A

“Ispirazione, allenamento mentale e spinte

solari Gedanken”

In Gran Bretagna, il Quarryman è sicuramente una via famosa. Lo era diventata nel 1987, quando Johnny Dawes non solo fu così visionario da aprire la via, ma mostrò anche incredibili tecniche ginniche in un video che divenne di culto: Stone Monkey. Il tiro sulla scanalatura del Quarryman è diventata “The Route (La Via)”, una domanda per qualunque alpinista: “Sei in grado di farla?”

Capitolo 1: Ispirazione

Sono nata e cresciuta in Francia, così ho sentito parlare del Quarryman solo di recente. Le vie che conosco da sempre sono La rose et Le Vampire, Akira, Biographie, Le Bronx, Le Plafond... ardue vie sportive francesi. Eppure, non ho mai trovato così tanta ispirazione come nella storia francese del Quarry, rendendomi conto subito che le vecchie cenge erano spesso frammentate, oppure rocciose o piuttosto brutte.

Ma lo sono davvero? Tutti brutte, tutte frammentate? O è più facile snobbare una via che, dentro di te, sai di non poter affrontare?

Dopo un momento d'introspezione onesta, ho ripreso a sentirmi fiduciosa: “Le Bronx, La Rose, Le Plafond” sono infatti frammentate, mentre Biographie è semplicemente troppo difficile per diventare un mio progetto.

Nondimeno, mi piace scalare la storia. La storia può rendere interessante persino una via brutta. Avevo sentito dire da uno degli alpinisti del vecchio ambiente francese di come è stata compiuta la Bronx: il bolter aveva usato quel che aveva trovato alla base dell'Orgon (una discarica), per fabbricare le prese artificiali. Se dovessi passarla ai raggi, all'interno della sola grossa presa troveresti un pezzetto di piastrella rotta!

Ora, quello che mi sono chiesta vedendo la guida del Quarryman, che è tutto uno zig zag, è stato: “Che cos'è passato per la testa di Johnny Dawes, quando ha deciso di collegare il tiro 1 (che, in un certo modo, ha senso, in quanto segue una faglia nella parete base) con il tiro 2, che richiede una sezione orizzontale di 5 metri, o persino di downclimbing, per raggiungere il tiro 3 il Groove, la caratteristica che rappresentava il motivo principale del Quarryman?” Per me non aveva alcun senso perché, proprio giù sotto il Groove, c'è la possibilità di un primo tiro facilissimo. Perché? Perché poteva?

"Non voglio più scalare tutta una serie di tufi. Voglio qualcosa di diverso. Qualcosa di "insolito"."

Con l'idea di seguire una traccia di linee che immaginavo più o meno verticali, mi sono presto resa conto che, nell'alpinismo, c'erano una fantasia e libertà con cui Johnny sembrava a proprio agio (guardate “Offspring in the Peak District”, se non mi credete). Da quel punto in avanti, sapevo che il Quarryman sarebbe stato particolare al pari di suo “padre”. E, a 30 anni, volevo farmi sorprendere. Non voglio più scalare tutta una serie di tufi. Mi sento come se avessi passato la mia vita in ginocchio tra i tufi e ora voglio qualcosa di diverso, di “insolito”.

Avevo sentito raccontare del Quarryman e, proprio come ogni patito di trad, sapevo che solo un manipolo di alpinisti avevano compiuto la salita completa: Steeve McClure, Robbie Philips, Ian Cooper e James (Pearson). Sarei stata in grado di farlo anch'io?

Non potrei starvi a parlare di ciascuna ora del mio apprendistato, ma per 3 anni mi sono arrampicata sempre più sovente su lastroni, calcare, arenaria e granito. Sebbene, ovviamente, la tecnica si basi parecchio sulla frizione specifica a ogni roccia, sento che la “sola frizione” possa venir appresa con una certa rapidità in pochi giorni, mentre i lastroni richiedono un miglior posizionamento, affidarsi a minuscoli appigli per le mani e divenire estremamente consapevole delle posizioni del corpo. Sposta di poco il tuo centro di gravità e potrai reggerti, spostalo all'infuori e niente funziona.

La parte mentale consisteva nel riuscire a farlo molto più sopra uno spit in un lastrone. Cadere nel vuoto per 15 metri in un ampio strapiombo non è così terribile, mentre la stessa cosa in un lastrone comporta solitamente farsi sbatacchiare qua e là. Le cadute da lastroni non sono piacevoli, ma impari presto a sopportare le leggere ammaccature.

Miglioravo sempre più sui lastroni: da fare fatica nei 6b, arrivando agli 8a. Così l'anno scorso sapevo di poter pensare seriamente di affrontare il Quarryman...

La lezione più importante che ho imparato da quando pratico l'alpinismo competitivo era: “Devi rispondere alla domanda”. Perciò dapprima devi capire esattamente quale sia la domanda.

Avevo fatto un giro del Quarryman 2 anni prima, per vedere con i miei occhi se le vie valessero l'impegno. Va bene sognare una via per la sua storia, ma che cosa succede, se si presenta poco attraente? Vorresti ancora scalare una via che non t'ispira? Non sono d'accordo, perché è solo quando ho esaminato da vicino il Quarryman (persino riuscendo nel tiro Groove, ma perdendo alcuni movimenti nel primo e ultimo tiro) che ho capito quanto quella via fosse incredibile. E ora che avevo la risposta alla mia domanda, ho deciso che il 2018 sarebbe stato l'anno del Quarryman.

Capitolo 2 - Preparazione della QuarryWoman

Non c'era bisogno di farsi 100 pull-up di fila per il Quarryman, e neppure occorre grande resistenza in una parete dall'inclinazione di 45o.

Mi servivano però spalle molto forti per le potenziali croci di ferro della scanalatura, maggior flessibilità, scarpette perfettamente ammorbidite, dita più robuste possibile, ottima resistenza sui piccoli appigli e una buona dose di coraggio.

A gennaio ho cominciato un programma di allenamento su misura per il Quarryman con anelli, stretching, finger board e resistenza su piccoli appigli. Ogni mattina visualizzavo: primo tiro, lunghi impressionanti run out tra vecchi spit, restare calma e concentrata per gestire il tiro 2 al primo tentativo; traversata in basso di 7 metri con un passaggio tipo boulder. Poi avrei immaginato di riposare sotto il Groove senza starci a rimuginare troppo. Visualizzavo di rimanere calma e concentrata, così da poter continuare la scalata sul Groove, un tiro che sapevo mi sarebbe sembrato come se fossi sempre sul punto di cadere. Ma sapevo che avrei dovuto continuare a provarci, spostandomi lentamente, ed era quello che avrei dovuto visualizzare. Non conoscevo tutti i movimenti, ma mi ero fatta un'idea dell'esperienza e mi ci stavo preparando.

Avevo appreso la tecnica da nientepopodimeno che Yuji Hirayama, che una volta mi disse di essersi preparato al suo tentativo a vista del Salathé, visualizzandolo nel corso di 2 anni. Se era un tentativo a vista, allora perché visualizzarlo? Yuji non conosceva i movimenti, ma aveva la guida e alcune foto, conosceva la durata dello sforzo e, con questo, poteva immaginare come si sarebbe sentito.

Capitolo 3 - Sotto la pioggia o sotto il sole: lavorare nella cava d'ardesia

Avevo messo da parte un mese di tempo tra aprile e maggio. Il Galles è capriccioso per quanto riguarda le condizioni meteorologiche ed essere ottimista mi avrebbe solo messa nei guai. Dovevo essere realistica e sapere che ci sarebbero state lunghe attese sotto la pioggia che forse avrebbe persino tentato di fermarmi.

Avevo cominciato a lavorare sulla via con una corda statica, poi con una moulinette e, dopo 10 giorni, di cui 4 senza pioggia☺), avevo tutti i miei movimenti. Il primo tiro è risultato soprattutto emozionante, senza passaggi di run out. Il tiro 3, il Groove, richiedeva perfezione e tenacia. Il tiro 4 era un passaggio estremamente difficile, su cui mi sono dovuta scervellare per 4 ore. Avevo un metodo, ma avrebbe funzionato con la stanchezza? C'era soltanto un modo per saperlo.

"Sono caduta due volte nello stesso passaggio della scanalatura, su una croce di ferro dove mi ero girata per cambiare lato."

Dopo aver lavorato lungo la via, avevo un solo giorno di riposo e poi le previsioni del tempo mi davano un solo giorno per provarci. Sembrava troppo presto e mi ero stancata le spalle, cercando di capire i metodi della scanalatura. Però, se non avessi tentato allora, sarei rimasta bloccata, aspettando la promessa dell'equivalente di una settimana di pioggia. Mi dicevo che il primo tentativo mi avrebbe preparata per quello successivo, così alle 8 del mattino, James e io siamo partiti con zaini pieni zeppi di giacche, barrette ai cereali e mango essiccato, più il resto dell'attrezzatura. Sono scesa in corda doppia sulla via per schiodarla e sostituire le tacche che mi servivano, perché erano state cancellate dalla pioggia.

<p,>Mi sono riscaldata facendo movimenti nel primo tiro, continuamente sorpresa da quanto sembrassero difficili, all'inizio della giornata. Come sull'ardesia, bisogna anche riscaldare la frizione, prendere familiarità con i minuscoli appigli per i piedi e centrare di nuovo quelli per le mani, per poter credere che funzioni.

Il primo tiro è riuscito al primo tentativo. Non mi sono emozionata, mentre inserivo i mezzi nut e spostandomi ben sopra di essi. Mi limitavo a concentrarmi sui movimenti e a cercare di cavarmela sul primo passaggio chiave. Soltanto in seguito quel mese, quando siamo tornati per le foto e facevo fatica a ripetere i movimenti, mi sono resa conto quanto, quel fatidico giorno, mi trovassi come in una bolla. Mi ero concentrata con calma su una mossa dopo l'altra, tutte così al limite per me. Avevo creato quella bolla visualizzando ogni giorno, quindi ignoravo del tutto i run out.

Il tiro 2 si era svolto con facilità, ma il 3 si stava rivelando ben altra cosa.

Sono caduta due volte nello stesso passaggio della scanalatura. Era una croce di ferro dove mi ero girata per cambiare lato. L'intera sezione sembra sempre completamente sbagliata e innaturale, ma non puoi far altro che proseguire, sentendoti costantemente sul punto di cadere.

Ero partita per un primo tentativo, fallendo miseramente. Gli appigli per i piedi erano così piccoli che non riuscivo a fidarmi di loro. Avrei atteso il buio, perché era uscito il sole e la roccia nera stava diventando rosso incandescente. Sull'ardesia, le condizioni del tempo fanno un'enorme differenza. Dovevo semplicemente aspettare un paio d'ore sulla cengia sotto il tiro 4 con James.

Le prime volte che gareggiavo, visualizzavo le tappe per ore, solo per arrivare mentalmente esausta al momento della mia scalata. Non pensare risultava fondamentale. Mettere il cervello su OFF. Invece, James e io ci siamo concentrati sul goderci l'attimo proprio dove ci trovavamo. Ho persino avuto un bel massaggio ai piedi.

Ero partita mentre cominciava a far buio, con l'idea di riuscire a gustare ogni secondo di quel che sarebbe accaduto. Avrei fallito o no? Si trattava unicamente di una mia decisione e non c'era altra ragione all'infuori del piacere. Poiché avevo accettato la possibilità di un fallimento, non sentivo pressioni e potevo concentrarmi sulla scalata, i minuscoli appigli, la precisione dei movimenti. Ero riuscita a superare il passaggio chiave, sempre un movimento più in là nella mente, concentrandomi sulla perfezione dell'esecuzione. Due brutti appigli verticali mi avevano tormentata; mi ero dovuta togliere il casco per avere spazio a sufficienza per girare la testa da sinistra a destra, poi cambiare i piedi alla cieca su una presa terribilmente piccola. “Fidati”. Con il ginocchio dentro il gomito, getto un pollice della spalla sinistra. Sembra sempre la cosa sbagliata da fare, ma, in qualche modo, funziona e mi raddrizzo, cm dopo cm, allungandomi fino alla giavella. Mi trovo ad aver superato il passaggio chiave, scalando l'ultimo giro fino alla cima della via, con solo pochi secondi per godermi l'azione... Io, Caroline, stavo scalando il Quarryman!

Il kit Quarryman di Caroline Ciavaldini

1 ISLAND, 2 MONKS AND UNTOUCHED GRANITE

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“Why did James and I pick a small dot on the other side of the planet?”

Because Yuji told us about it. The last time Yuji proposed us a trip, we ended up in Kinabalu, the now oh so famous mountain where untouched granite will overwhelm the climber. The Real Rock tour has thrown Kinabalu into fame, but 5 years ago, when we went there, no climber could even put it on the climbing

Kinkasan is a small island not far from Fukushima, on the north east side of Japan. It has 26km circumference and is inhabited by two monks. From Tokyo it is a six hour journey. Yuji didn’t say that much more: Kinkasan’s coast is covered with granite cliffs, and there is a Shinto shrine on it. Yuji mentioned as well the damages made by the tsunami…

We began our journey with next to no expectations about the climbing, and a big question mark for the rest. 3 days in the trip and I know exactly why we came: for Japan. 

2 years ago we spent a week in this unique country and both James and I knew that we had to come back one day: how could I compare it? Well, the first time you taste wine, you have heard a lot about it. But you smell, and you only smell the alcohol, you taste and you can’t put words on it because wine is subtle, complicated and requests an education. You have to go back to it, learn to enjoy, differentiate and remember. Japan is maybe a little bit like wine.

There is this astonishing mix of modernity (the Japanese toilets and their multi jets, music and self cleaning options give you an idea of the immensity of your difference)  and spirituality, respect, focus.

We arrived at Base Camp, the gym that Yuji opened 5 years ago in Tokyo, and I oscillate between marvel and shame. I am a pro climber, and most of the boulders are too hard for me, the Japanese climbers around me seem to evolve so effortlessly, like flying cats on the wall. But then you realise: the world championship have just finished in Paris and in the bouldering competition, 3 of the 6 medals are not only Japanese, but from Tokyo, from Base Camp. Yuji and his company helps the athletes become professional and they often climb together. Shall I repeat that? Half of the world’s medals come from one gym! Surely there is no wonder that Yuji owns that gym… But that is only just the very top of the iceberg, because behind this 3 medals, there are a lot of other athletes with an incredible level. I have never seen so many good, extremely good boulderers in one place. And I am a former competition climber, trust me, I know what I am talking about.

“Why are they so good?”

The answer is surely complicated but here are a few elements: climbing has become very trendy in Japan, with over a 100 gyms in Tokyo. The Japanese body type is perfect for climbing; light, powerful and explosive muscles. The Japanese constant pursuit of perfection pushes the athletes to train hard, just like everyone around them simply accomplished every task with perfection.

It was dry for the crossing, and after unpacking our bags at the shrine we bouldered on a nearby beach for 1 hour before the rain came. With so much rock to see and so little time, we hiked out anyway along the coast to search out potential lines. The rain became heavier, we became wetter, and after 4 soggy hours we returned to the shrine, hopes high but spirits low. We’d been preparing this trip since September 2015, putting the team together, finding funding from sponsors, organizing the local logistics, yet it would all be in vain if the weather didn’t brighten up.

A morning of rain gave us the excuse to sit down and record some interviews, though truthfully we had little to say as we’d done little climbing. Toru, ever the silent optimist finally dragged me out to the closest boulder spot during a break between two showers, and we were surprisingly able to climb! Toru lived up to his reputation of boldness and brilliance, making the first ascents of two of Kinkasan’s boldest and hardest problems. Finally things were looking up. The forecast was good for the following days, and group psyche could not have been higher. We began to plan our upcoming adventure and our first trip to the other side of the island – the area with the highest concentration of rock, and the biggest cliffs, but had to cut them short as bad news broke.

With my thirst for climbing temporarily quenched, we left the island in limbo, happy, yet sad, but knowing we’d be back in less than 24 hours. We passed the day visiting some of the worst tsunami affected towns in an effort to better understand what hardships the local people had to live through, and how they are moving forwards towards the future. It is one thing to watch the news from the comfort of your lounge back home, it is another thing entirely to see it first hand, and speak to the people who have lost everything - houses, possessions, loved ones!

Suddenly our troubles with the rain seemed embarrassingly small, and we remembered why we were actually here in the first place.

Our personal climbing desires must come second to the larger goal of showing this place to the world. Rain or shine, we have to get out there. Hike around, document the potential, and if in the end we are lucky, open up some new routes.